Per Biante Lario e Fileta Peliaco

L’Arcadia partecipa alla Giornata della Memoria

27 gennaio 2022

Come le altre accademie italiane, subito dopo il Ferragosto del 1938 l’Arcadia fu chiamata a rispondere ad una circolare del Ministero dell’Educazione Nazionale, proveniente dalla Direzione Generale Accademie, Biblioteche e affari personali, avente per oggetto «Censimento degli accademici di razza ebraica». Era richiesto che ogni Arcade compilasse un questionario, in cui, oltre ai dati anagrafici, avrebbe dovuto precisare, depennando un sì o un no prestampati, se appartenesse «alla razza ebraica da parte di padre», se fosse iscritto alla comunità israelitica, se professasse la religione ebraica, se professasse altra religione e quale, se si fossero effettuate conversioni ad altra religione «da lui o dai propri ascendenti, e quali, ed in quale data», se la madre o il coniuge fossero di «razza ebraica». Era un sinistro preludio al Regio Decreto Legge 5 settembre 1938, n. 1390, che all’articolo 4 stabilirà che «I membri di razza ebraica delle Accademie, degli Istituti e delle Associazioni di scienze, lettere ed arti, cesseranno di far parte delle dette istituzioni a datare dal 16 ottobre 1938-XVI».

Il custode in quell’anno era Maronte Larisseo, ovvero l’ormai anziano (era nato nel 1866, morirà nel maggio del ’40) Nicola Festa, grecista accademicamente controverso, pioniere degli studi bizantini, primo editore critico dell’Africa di Petrarca. Festa era stato antifascista fino al 1925, grazie soprattutto ai suoi rapporti con Croce, di cui aveva patrocinato l’annoveramento in Arcadia, ma già a partire dal 1926 si era andato allineando al regime, fino a spingersi a tradurre in latino i discorsi di Mussolini sull’Impero (1936). Tanta devozione gli valse la finale nomina a senatore del regno, pochi mesi prima della morte. Nella circostanza del censimento, Festa non prese tempo. Il 30 agosto chiese alla Direzione Generale Accademie un supplemento di schede, perché gli Arcadi erano in tutto 116 e aveva ricevuto solo 53 esemplari di scheda. Il 6 settembre, in attesa di risposta, chiese se si potevano esentare dall’invio della scheda i cardinali, i vescovi, il clero secolare e regolare, precisando che, in assenza di repliche, avrebbe inviato la scheda a tutti (alla fine, saranno esentati soltanto i cardinali) e aggiungendo un post scriptum in cui comunicava che avrebbe fatto preparare le schede mancanti alla segreteria dell’Arcadia. Il I ottobre Festa poté inviare alla Direzione Generale Accademie le schede compilate, con una sua lettera d’accompagno e alcuni non richiesti sussidi, come le liste dei soci ordinari e dei soci corrispondenti e soprattutto due «elenchi generali», uno con i nomi dei soci che avevano «risposto all’appello», l’altro con i nomi di coloro «che non hanno risposto». Questi ultimi furono in tutto 19, al netto dei tre che risposero in forte ritardo, e le cui schede furono spedite in un momento successivo, e al netto dei tre per i quali, a detta di Festa, mancava «un qualsiasi loro indirizzo». Sulle possibili ragioni, certo non univoche, di queste mancate risposte, che in percentuale furono tante, faremo ulteriori indagini con la nostra archivista Sarah Malfatti. L’intero fascicolo, contenente tutte le schede compilate e la corrispondenza del custode col Ministero dell’Educazione nazionale, è oggi conservato presso l’Archivio Centrale dello Stato; l’Arcadia ne possiede una riproduzione fotografica integrale.

Gli Arcadi «di razza ebraica» risultarono due, Santorre Debenedetti ed Ezio Levi D’Ancona; il primo compilò la scheda a Torino il 10 settembre, il secondo a Napoli il 13. I due risposero in modo in parte diverso. Debenedetti si limitò a depennare i sì o i no a seconda dei quesiti. Levi D’Ancona invece, ogni volta che nel quesito figurava l’espressione «razza ebraica», depennò l’aggettivo sostituendolo con «italiana»; alla domanda «se professi la religione ebraica», depennò il sì; alla domanda «se professi altra religione», depennò sia il sì che il no. Debenedetti e Levi erano stati proposti per l’annoveramento il 5 novembre del 1932, il primo da Vittorio Rossi, Mario Pelaez ed Enrico Carrara, il secondo dagli stessi Rossi e Pelaez e da Vincenzo Ussani. Nella lettera del I ottobre Festa aggiungeva: «Rimango a Vostra disposizione per eventuali schiarimenti e ricerche suppletive. Ma debbo ricordarvi che non è in mio potere il consultare i vecchi registri dell’“Arcadia” fino a che non si sarà trovato un locale in cui collocare e riordinare l’archivio, che ora giace in un magazzino offerto dalla R. Accademia Nazionale dei Lincei». Fin qui poteva essere una semplice excusatio, condita con una velata lamentela sull’inadeguatezza della sede. Ma Festa aggiunge, chiudendo la missiva: «Dico questo pensando che qualche volta potrebbe essere utile ricercare quando e da chi fu proposta la nomina di un dato socio». Non pago, Festa inviò al Ministero anche un foglio di «Note statistiche», in cui volle precisare che «In base alle schede pervenute, i Soci di origine semitica sarebbero 2, cioè poco più del 2% dei soci laici. Restano dubbi sopra due di quelli che non hanno risposto. La percentuale potrebbe salire fino al 3 o al 4%». Insomma, in questa tristissima circostanza, Festa si mostrò più realista del re. Perse quindi l’occasione di servirsi delle Leges Arcadum, che, dopo esser servite nei secoli a più di un’innocua contesa letteraria, in quel frangente avrebbero potuto mostrare tutto il valore etico e politico che Gravina e gli Arcadi delle origini avevano voluto infondervi. Secondo la terza legge, e secondo il terzo avvertimento approvato il giorno della fondazione, l’Arcadia non ammette ordini di autorità esterne; il custode quindi, a norma della prima e più importante delle Leges Arcadum, avrebbe dovuto sottoporre la richiesta del Ministero – certo non rientrante in quell’ordinaria amministrazione che egli poteva sbrigare da solo – al giudizio del Commune, ovvero dell’Assemblea degli Arcadi, e avrebbe dovuto concedere ai singoli la facoltà di appellarsi all’Assemblea stessa contro un’eventuale decisione discriminatoria nei loro riguardi. Il custode agì quindi contro le leggi d’Arcadia, cosa per cui, a norma della sanctio finale, avrebbe dovuto essere subito espulso dall’Arcadia lui (confestim exArcas esto).

A questo punto siamo andati, con l’aiuto della nostra archivista, che ha recuperato anche i documenti delle annoverazioni citati sopra, a verificare quale trattamento fosse stato riservato a Debenedetti e a Levi D’Ancona, che in Arcadia furono Biante Lario e Fileta Peliaco, nel registro degli Arcadi. Non senza una certa sorpresa, considerate le premesse, abbiamo scoperto che non sono stati cancellati né è stato segnato alcunché in corrispondenza dei loro nomi, che si susseguono ai numeri 396 e 397, così come è avvenuto con Croce, in un catalogo che pure presenta altri nomi depennati, ma certo non in relazione a questa vicenda. Stiamo proseguendo le ricerche nel nostro archivio, ma per ora possiamo affermare che, se il custode agì contra leges, l’Arcadia non espulse formalmente i due suoi cittadini «di razza ebraica». Tuttavia, anche se questo fosse confermato, non abbiamo certo ripercorso tutta questa triste storia per menare un finale vanto, bensì per cominciare a ricostruire in ogni suo aspetto, al di là della nota vicenda di Croce, su cui pure torneremo, questo amaro capitolo, e forse ancor più per riaffermare che l’Arcadia, oggi come tre secoli fa, accoglie e non discrimina, include e non esclude, e difende una cultura che sia strumento di convivenza, tolleranza, comprensione dell’altro, quali che siano le sue opinioni, le sue origini, la sua religione. Anche per questo vogliamo dedicare la giornata di oggi ai nostri soci Biante Lario e Fileta Peliaco.

Agesia Beleminio
fuori d’Arcadia
Maurizio Campanelli

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